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Racconti gialli

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Mitri uno sconosciuto.-

Il sentiero si presentava ripido e sconnesso, io cercavo di non guardare la cima del monte dove ero diretto, i miei pensieri andavano sempre alla visione del corpo del povero Mitri, accasciato in fondo al pozzo, lo avevo riconosciuto dai pantaloni gialli e dai capelli rossi, il resto era fango e acqua, un corpo che si era chiuso come un riccio, dove rimaneva lo sguardo fisso verso il cielo e che ne illuminava gli occhi vitrei, aperti, forse per la caduta, il pozzo era alto una decina di metri, eppure erano presenti dei pioli di ferro che scendevano lungo la sua parete, poteva benissimo cercare di afferrarsi a quei benedetti pioli invece credo che sia stato buttato dentro senza troppe cortesie.-
Avevo guardato intorno al pozzo per vedere se trovavo qualche indizio, ma ormai il giorno stava finendo, rientravo per chiamare il Brigadiere Mossi, prendere una pila, passare poi dal prete Don Chimini, e dal Sindaco Guidacci, poi tutti insieme avremmo fatto i nostri passi, invece appena arrivato alla cima della collina che porta verso il paese, mi fermo per riposare un attimo a pensare, appoggiandomi su una pietra che serviva da sedile mi sentii chiamare, marescià, tipico dei paesani, tutti marescià, era Rocco il contadino, un tipo un po' indietro e rozzo nel parlare, subito pronto alla battuta per difendersi da un attacco verbale che di solito usavano i ragazzi del paese per prenderlo in giro, battutte che a volte, le più non ci azzeccavano."Senta Marescià, ho visto che in paese ci stà la macchina dei Carabinieri colleghi vostri, sapevate hè"che cosa facessero i colleghi in paese non potevo saperlo, anche perchè del morto credevo di saperlo solo io, come facesse Rocco a sapere che ero lì neanche, mi alzo dal mio sedile, mi dirigo verso il paese dista un centinaio di metri, 300 anime tra pensionati e vedove, i giovanotti sono andati via in città, in cerca di fortuna, che di solito si fermano alla fabbrica del vet

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   1 commenti     di: tore chiaro


Gregorio Santi, professione divorzista

Gregorio Santi attendeva da quasi due ore, nascosto sul tetto di fronte al Palazzo della Regione, anchilosato per l'immobilità forzata. Non era una mattinata fredda per essere fine novembre, però per evitare impacci indossava abiti leggeri e il vento lo intirizziva.
Sapeva che l'assessore regionale Tartaglia non poteva mancare, perchè in quei giorni si decideva l'approvazione del piano edilizio a cui si dedicava da anni, una grossa speculazione contestatissima dagli ambientalisti e da un'ampia fetta dell'opinione pubblica. L'operazione muoveva ingenti interessi e c'era chi lo accusava perfino di collusione con la 'ndrangheta, nonostante le sue recenti prese di posizione antimafia. Perciò aveva deciso di farlo saltare in aria mentre entrava nell'edificio pubblico: voleva far credere a un delitto politico di stampo mafioso.
Mancavano pochi minuti alle otto quando notò una donna a braccetto con un uomo. Perplesso per l'aria familiare della coppia, puntò il binocolo su di loro. Sì, li conosceva entrambi. Lui, Vincenzo Repetto, era un vecchio amico e non c'era nulla di strano a vederlo lì, ci lavorava, infatti, da diversi anni. Trovava semmai anomala la presenza femminile. Cosa ci faceva a cento chilometri da casa sua in compagnia di Vincenzo? Ignorava che si conoscessero. La osservò percorrere l'arteria e poi fermarsi davanti all'accesso riservato agli impiegati, baciare il partner appassionatamente e andarsene per la sua strada. Per la rabbia strinse i pugni così forte da far sbiancare le nocche e si fece sfuggire un'imprecazione assai scurrile.
Quando però, venti minuti dopo, all'imbocco della strada apparve finalmente l'auto blu, scordò ogni sofferenza e qualsivoglia fonte di distrazione e avvicinò l'indice al pulsante d'innesco.
Giunto nella piazza poco movimentata, il bersaglio scese dalla vettura alla solita altezza e da lì, mentre l'autista già si allontanava, s'avviò verso l'ingresso, districandosi come ogni mattina tra due macchine parche

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   13 commenti     di: Massimo Bianco


Chiavi & misteri

Questo racconto è nato per una nota manifestazione bresciana riguardante il giallo, e l'anno con cui ho partecipato al concorso per le scuole "A qualcuno piace giallo" i testi da presentare dovevano presentare i personaggi o stili del romanzo giallo tipico di Agatha Christie.

Io ho deciso di far vivere il mio racconto ai suoi 2 personaggi meno noti... i coniugi Beresford magari meno soprendenti di Ercule Poirot o Miss Marple ma ugualmente intelligenti ed interessanti, ora vi lascio alla lettura del mio:

CHIAVI & MISTERI

Personaggi:

Thomas (Tommy) e Prudence (Tuppence) Beresford:
Una simpatica coppia di coniugi investigatori inglesi.

Miss Helene Mahy:
Giornalista libera, residente a Toronto, da ormai 20 anni, negli ultimi mesi, si stava occupando di un articolo “scottante”.

Clarissa (Cle) Lake:
Psicologa d’origine irlandese, amica fidata di Miss Mahy e Mrs Beresford.

Ashley Lake:
Figlia adottiva di Clarissa Lake.

Lady e Miss Carson:
Madre e figlia.

Miss Mary Johnes:
Erpetologa francese, vicina di appartamento di Helene.

Mr. Jerome Dart:
Imprenditore

Mr. Jonathan (Jhonny) Dart:
Figlio di Jerome Dart.

Commissario Westall:
Un gigante buono, grande e grosso, dagli occhi di bambino.







C’è strana posta, oggi, per i coniugi Beresford.
Oltre alla solita posta, nella cassetta delle lettere, c’è una busta di carta azzurro-verde, con un non so che d’infantile. Sembra che faccia parte di uno di quei set che si regala ai bambini, di carta colorata, magari con qualche decoro o disegno, come alcune di quelle buste in cui si mettono le cartoline d’auguri…
La lettera viene da molto lontano. Ha attraversato l’Atlantico, per arrivare lì da loro. Viene da Toronto, in Canada, ed è indirizzata alla signora Beresford.
Albert, il domestico di famiglia, ha raccolto da poco la posta e ora la sta portando alla coppia. Andiamo a vedere cosa succederà…

I P

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Solo un bastardo

- tokka a te dare l'akkua e nn t fa sgamà. - L'sms di Cisco arrivò appena finito il cheesburger e all'inizio delle patatine. Non ho mai capito la predilezione di certi individui per la lettera cappa. Posso arrivare ad accettarne l'uso per economizzare una parola qualora possa far risparmiare una o due lettere. Usata così però m'irritava. Cisco d'altronde era un individuo estremamente rozzo, un uomo di 35 anni col cervello di un quindicenne.
- Cheppalleee!! - sbottai. Mi alzai dal tavolo con lo sguardo rassegnato e vagamente schifato di Cristina puntato sulla mia maglietta, proprio dove mi si era stampata una grossa macchia di maionese. - Devo andare a Fogliano un attimo, che fai, vieni con me? - le chiesi mentre strofinavo un tovagliolino su quella chiazza oleosa che per vendicarsi aveva raddoppiato la sua dimensione. - A fare cosa? - domandò lei sempre fissa sulla maionese e con gli angoli delle labbra sempre più piegati verso il basso. - Una cosa!... che fai, vieni o no?- Tagliai corto.

Durante il percorso in motorino dalle autolinee a Via del Mare avrebbe voluto raccontarmi dell'ennesima discussione avuta con la madre la sera prima perché l'avevo riaccompagnata dopo mezzanotte. Ma io in quel momento non avevo alcuna voglia di sentirla. Presi la stradina per il lago e in quel fuoripista scellerato tra rovi e buche, intuii, da come mi stritolava le costole, che stesse protestando animatamente.

Giungemmo alla piccola baracca abbandonata. Era malconcia e maleodorante ma era sempre stata un buon riparo. Cristina stava come al solito masticando una gomma nella sua tipica e generosa ampia gestualità mandibolare e aveva cominciato a sbottonarsi la camicetta con aria inespressiva e ancora con il casco in testa. - Cri guarda che non siamo qui per trombare! - la redarguii. - Ah... e che dobbiamo fare? - domandò.

Cristina non è una ragazza molto sveglia, ma a me piace. A parte alcuni momenti nei quali sembra totalmente assente col cervello, è una per

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Brava... brava, dolce Angela

Mi fissai le nocche squarciate, e trasalii. Racchiusi una mano dentro l'altra e le sentii bruciare. Me le portai al seno e la maglia bianca mi si imbrattò di sangue.
Guardai a terra e vidi l'uomo che avevo appena ucciso. Il mio respiro si accentuò e presi a tremare.
Mi allontanai velocemente fino ad arrivare sotto il portone di casa. Dalla tasca del cappotto recuperai le chiavi ed entrai.
Sentivo le gambe molli e la testa girare. Continuai ad osservarmi intorno anche quando entrai in ascensore, come per accertarmi che nessuno avesse visto di quale crimine orrendo mi ero appena macchiata.
Arrivai al mio appartamento e mi ci barricai dentro. Fissai la foto di mia sorella sul mobiletto, e percepii un brivido.
Mi mossi in bagno, mi svestii e mi fiondai sotto la doccia. Mentre l'acqua mi delimitava il profilo e scacciava le lacrime, abbassai lo sguardo verso il basso. Oltre che l'acqua, lo scarico si portò via con se anche quel sangue rosso acceso che mi dava la nausea.
Uscii solo dopo un'ora, e ancora non mi sembrava abbastanza.
Con l'asciugamano stretto intorno al corpo e i capelli ancora umidi sulla schiena, andai a sedermi sul divano.
Sentivo freddo, ma sapevo che a crearmi i brividi non era né la temperatura, né l'acqua che ancora avevo sulla pelle.
Mi racchiusi le gambe tra le braccia e appoggiai il mento sulle ginocchia. A quel punto, udii: "Hai fatto quello che doveva essere fatto."
Senza voltarmi, una lacrima mi scese sul viso. "Vattene."
"Lo sai che non posso."
Fissai l'angolo buio della cucina. "Ho ucciso di nuovo", dissi.
"Certo che l'hai fatto. L'hai fatto per me."
Io scossi il capo e tornai a fissare un punto indefinito dinanzi a me. "No, basta così. Non lo farò più."
A quel punto la voce si fece più vicina. "Lo sai che non puoi. Non abbiamo ancora finito."
"Io sì."
"Ne mancano ancora due. Poi ti lascerò in pace."
Io esitai, pensando a quanto desideravo essere lasciata in pace. Mia sorella era to

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   26 commenti     di: Roberta P.


Il venditore d'energia

Cammina veloce con il suo solito passo.
Tra bambini chiassosi, intenti a giocare sul marciapiede.
Ai lati della strada, solo casermoni di edilizia popolare.
Sui muri, incomprensibili scritte spray sovrapposte tra di loro.
Manifesti strappati, skateboard impazziti.
Donne anziane intente a chiacchierare, arrancano con fatica.
Trascinano carrelli colmi di verdure, è giorno di mercato.
Volantini pubblicitari esondano da cassette postali.
È un pomeriggio d'inverno inoltrato di giorno qualunque.
È il suo ultimo tentativo, deve vendere qualcosa, le sue finanze lo impongono,
ma non è giornata.
Scazzato, inizia a salire le scale di un vecchio palazzo.
Le etnie che vi abitano fanno a gara per imporre i loro odori.
Minestre, paprica, ragù e spezie si mischiano, ma le cipolle come sempre prevalgono.
Entra in un buio corridoio vede una porta socchiusa, bussa due, tre volte senza risposta alcuna.
Si affaccia e dalla gola a fatica gli esce un roco "c'è qualcuno?" ... niente.
Qualcosa lo spinge a entrare, lo fa con molta circospezione, è un piccolo monolocale.

L'aria è viziata da essenze scadute, e copre l'odore di un posacenere sovraccarico.
Lenzuola nere, sgualcite, ma asciutte fanno pensare a qualcosa che non è stato.
Calici semivuoti colorati di labbra, carta di cioccolatini, biscotti da thè.
Biancheria calpestata in ordine sparso, gettata alla rinfusa, tipico di chi è in preda ad una pazza frenesia sessuale.
Un fastidioso rubinetto esausto gocciola su sporche pentole.
Su dei piatti ottagonali neri, gli avanzi di una cena bruscamente interrotta.
Due rosse candele consumate versano lacrime di cera.
La luce blu di un'insegna al neon illumina ad intermittenza, la tappezzeria in stoffa sulle pareti della stanza.
Sopra il comò, una parrucca bionda appoggiata sulla testa di un finto leopardo di gesso.
Accanto, un giovane corpo nudo giace freddo sul pavimento gelato.
Un brutto segno blu sul collo, copre in parte una piccola stella rossa tatua

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   1 commenti     di: Aldo Riboldi


Assemblea condominiale

Cittá italiana del centro-Nord, palazzone in fintovetro grigiotopo, solo le nuvole plumbee hanno il coraggio di specchiarsi, mentre alberelli spellacchiati adornano il parcheggio sottostante.
Al primo piano, frontestrada, abita una professoressa di statistica quasi cinquantenne:magra, dinoccoluta, eterna single moltoimpegnata, molteamiche, moltipub. Flirta in modo altezzoso col professore di bioinorganica, abitante al terzo piano dello stesso stabile. È stata lei a procurargli il loft in affitto, e se lo lavora molto bene, giorno dopo giorno. Alle nove, in previsione, hanno la prima cenetta d'iniziazione al sesso, similulata da discussione accademica, con musiche new age scelte apposta.
Per ingannar l'attesa, verso le sette di sera, batte incessantemente sulla tastiera, impegnata a finire la relazione per il capo, da presentare l'indomani. Deve concludere in tempo per le otto, é in ritardo allucinante, rilegge e riscrive piú volte, copiaincolla da tabelle e vari calcoli.
Improvviso: un rumore sordo dal balcone dello studio, come di sacco di patate con dentro un gatto. La smilza scatta all'impiedi, si ferma, ascolta di nuovo, annusa l'aria come leonessa in cerca di preda. Si dirige alla portafinestra, la apre e lo vede: la giacca marrone, in effetti, a prima vista, potrebbe sembrare un sacco, ma é pura lana vergine, e dentro c'é un tizio. Un tizio con la barba, non molto alto ma pesante. "Si:proprio pesante", pensa la dottoressa, mentre l'afferra per i calzoni,"Chiunque tu sia, non sei invitato a cena, e io non ho bisogno di polizia intorno, ho lavorato mesi a quest'incontro, se ti sposto davanti alla finestra dei Malaguti-Stolfi, forse ti troverá la filippina".
E fu cosí, che quel sacco di uomo immobile, si ritrovó nel bel mezzo del balcone della cucina di un notaio altolocato, in odore di elezioni politiche, con filippina, maggiordomo d'ordinanza e moglie grassoccia ed ingioiellata.
Stava per accendersi il suo buon toscano davanti al

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   4 commenti     di: Rosanna Giampá



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